L’aquila e la freccia

L’aquila e la freccia è una breve favola di Esopo. In questo racconto l’autore vuole mostrare un aspetto del dolore, nel caso in cui sia provocato dalle stesse armi di chi lo subisce.

Buona lettura!

Il sole stava per tramontare, lasciando delicate sfumature rossastre tra le nuvole. Un momento perfetto per l’aquila, il re degli uccelli, che disegnando cerchi nel cielo, si preparava per la caccia.

Poco lontano, nascosto dietro un cespuglio, c’era un cacciatore, che osservava con un binocolo i movimenti del volatile.

Un paio di giravolte nel cielo e giù in picchiata verso la preda, un piccolo topolino. Nel giro di pochi secondi era già di nuovo in volo, con il topolino tra gli artigli, diretta verso il nido costruito su una rupe.

Stava consumando il proprio pasto, quando il cacciatore, approfittando del momento di distrazione, le scagliò contro una freccia. La punta della freccia le si conficcò nella carne, mentre la cocca con le penne si posizionò davanti ai suoi occhi

l'aquila e la freccia

Alla vista di quelle penne, al dolore fisico si aggiunse un ulteriore dolore. Infatti, poiché si trattava di penne di aquila, esclamò: “per me è ancor più doloroso dover morire trafitta dalle mie stesse penne.”

FINE

Qual è la morale di questa favola? 

La morale della favola è che il dolore è ancora più forte quando se stessi o i propri familiari contribuiscono al proprio male.


Illustrazione di Marika, testo rielaborato da Jim Dejavù

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